M.E.C.

Malattie Emorragiche Congenite

  • Emofilia A (deficit congenito Fattore VIII)

  • Emofilia B (deficit congenito Fattore IX)

  • Malattia di von Willebrand

  • Deficit congeniti rari (Fattore II, V, VII, X, XI, XIII)

  • Portatori/portatrici di deficit congeniti

  • Deficit acquisiti Fattori della Coagulazione (il più frequente è l'Inibitore acquisito del Fattore VIII)

Centri Emofilia in Emilia-Romagna

La Rete regionale per la prevenzione, diagnosi e terapia delle MEC in Emilia-Romagna interessano 1.413 pazienti (dati 2017 – Fonte Registro Mec), ha cambiato assetto gradualmente dal 1° luglio 2018.

La nuova Rete, organizzata secondo il modello Hub & Spoke, sarà composta da 3 strutture di alta specializzazione, collegate con ospedali e specialisti del territorio, per il trattamento di gravi patologie ereditarie che riguardano la coagulazione del sangue, come ad esempio l’emofilia A e B e le piastrinopatie. Il centro Hub, che rappresenta la struttura ospedaliera per il trattamento delle situazioni più complesse, è collocato presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma. Lo stesso centro comprenderà anche le province di Piacenza, Reggio Emilia, Parma e Modena.

Per quanto concerne i centri Spoke è affidato loro un ruolo diagnostico-assistenziale e di controllo medico dei pazienti e si avvarranno delle competenze dell’Hub, solo nei casi di maggiore complessità. Questi centri afferiranno all’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna, per quanto concerne i pazienti di Bologna e Ferrara, per quelli invece di Ravenna, Rimini, Forlì e Cesena all’Azienda Sanitaria della Romagna con sede nell’Ospedale di Cesena.

Obiettivo del nuovo assetto sarà quello di intervenire con tempestività sull’assistenza dei pazienti in caso di emergenza, offrendo l’opportunità ai Pronti soccorso dei rispettivi territori, di contattare un professionista esperto del Centro Hub o Spoke.

Per questo motivo i pazienti riceveranno potranno anche esercitare un diritto di scelta e afferenza ai nuovi centri, acconsentendo contestualmente al trasferimento della propria documentazione sanitaria.

Centro MEC di Parma - HUB

Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma

S.S.D. Centro Hub Emofilia e Malattie Emorragiche Congenite

Via Gramsci, 14 , 43126, Parma

Centro MEC di Bologna

Policlinico Sant'Orsola-Malpighi

Via Pietro Albertoni, 15, 40138 Bologna

padiglione 2 piano terra


Centro MEC di Cesena

Clinica Ospedale M. Bufalin, U.O.C. Medicina Trasfusionale

Dipartimento di Patologia Clinica

Viale Ghirotti, 286, 47023, Cesena – Forlì (FC)

L’elenco aggiornato dei Centri Emofilia presenti sul territorio nazionale è consultabile sul sito dell’Associazione Italiana Centri Emofilia.


Emofilia: che cosa è?



Una malattia di origine genetica, dovuta ad un difetto della coagulazione del sangue.

L’emofilia è una malattia di origine genetica, dovuta ad un difetto della coagulazione del sangue. In condizioni normali, in caso di fuoriuscita dai vasi sanguigni, il sangue forma un “tappo” che impedisce l’emorragia. Questo processo comporta l’attivazione di numerose proteine del plasma in una specie di reazione a catena. Due di queste proteine, prodotte nel fegato, il fattore VIII ed il fattore IX, sono carenti o presentano un difetto funzionale nelle persone affette da emofilia. A causa di questo deficit gli emofilici subiscono facilmente emorragie esterne ed interne, più o meno gravi.

Tipi di Emofilia

L’emofilia A è la forma più comune di emofilia ed è dovuta ad una carenza del fattore VIII della coagulazione. L’incidenza è di 1 caso ogni 10.000 maschi. L’emofilia B spesso definita malattia di Christmas, dal nome della famiglia nella quale è stata identificata per la prima volta, è provocata dalla carenza del fattore IX della coagulazione. L’incidenza è di 1 caso ogni 30.000 maschi. I sintomi delle due malattie sono praticamente identici e solo tramite gli esami di laboratorio, o conoscendo la storia familiare, il medico può differenziare questi due tipi di emofilia. In entrambi i casi, la gravità della malattia viene determinata in base alla gravità della carenza di attività del fattore coagulante.

  • Se la percentuale di attività del del fattore coagulante è < 1% si parla di emofilia grave

  • Se la percentuale di attività è tra 1 e 5% si parla di emofilia moderata

  • Se la percentuale di attività è tra 5 e 40% si parla di emofilia lieve

Ereditarietà

  • L’emofilia è una malattia recessiva che colpisce solo gli individui maschi . Ciascun essere umano possiede 46 coppie di cromosomi. Due di questi cromosomi determinano il sesso, il cromosoma X ed il cromosoma Y. Le donne hanno due cromosomi X (XX) e gli uomini un cromosoma X ed un cromosoma Y (XY).

Ogni essere umano eredita un cromosoma di ogni coppia dal padre ed uno dalla madre. I maschi ereditano il cromosoma X dalla madre ed il cromosoma Y dal padre, le femmine ereditano un cromosoma X da ciascuno dei due genitori.

I geni che codificano la sintesi dei fattori della coagulazione VIII e IX sono situati sul cromosoma X. Non esistono geni per i fattori della coagulazione sul cromosoma Y.

Il cromosoma X, portatore del difetto di coagulazione che determina l’emofilia, viene identificato come “Xe”. Nelle donne portatrici di un cromosoma “Xe”, l’altro cromosoma X non colpito compenserà la produzione di fattore VIII o IX.

I maschi portatori di un cromosoma Y normale e del cromosoma Xe “difettoso” sono colpiti dalla malattia che viene trasmessa dalla madre portatrice, dotata di un cromosoma X sano e del cromosoma Xe “difettoso”. L’emofilico sarà identificato con XeY, mentre la madre portatrice con XXe.

È estremamente raro che una donna sia colpita da emofilia, perché ciò accada, il padre deve essere affetto da emofilia e la madre portatrice sana. Molte donne portatrici possono presentare livelli di fattore della coagulazione relativamente bassi e presentare i segni di una “lieve” emofilia. Nelle famiglie in cui siano presenti casi di emofilia è possibile sottoporre le donne all’analisi del DNA, che si effettua a partire da un normale prelievo di sangue, per stabilire se siano portatrici. E’ anche possibile effettuare la diagnosi prenatale nelle gravidanze a rischio.

Cosa succede in caso di...

I genitori sono perfettamente sani e non portatori. Possono nascere figli emofilici?

Sì. Questo succede in circa 1 caso su 3 di emofilia A. In questi casi l’alterazione genica si è verificata al momento della formazione degli spermatozoi o degli ovuli. Se gli esami indicano chiaramente che nessuno dei genitori è portatore, le possibilità di avere un altro figlio ammalato è bassa.

Madre è portatrice e padre è sano

Un figlio maschio avrà una possibilità del 50% di ereditare l’emofilia in quanto erediterà uno dei cromosomi X della madre (si tratta del cromosoma Xe). Una figlia femmina avrà il 50% di possibilità di essere portatrice del gene dell’emofilia, dato che erediterà uno dei cromosomi X dalla madre.

Madre sana e padre emofilico

Una figlia femmina sarà portatrice dato che erediterà un cromosoma X normale dalla madre ed il cromosoma Xe, “difettoso”, dal padre. Le figlie di un padre emofilico sono definite “portatrici obbligate”; in altre parole non è possibile che non siano portatrici. Il figlio maschio, invece, sarà sano in quanto erediterà il cromosoma Y dal padre ed un cromosoma X dalla madre; questo figlio non può trasmettere l’emofilia alle generazioni future.

Madre portatrice e padre emofilico

Non esistono maschi portatori sani. I figli (maschi) di uomini malati sono sani (se la madre non è portatrice) mentre le figlie saranno tutte portatrici.

A chi si possono rivolgere le coppie che temono di trasmettere la malattia ai figli?

Le coppie che temono di poter trasmettere l’emofilia ai propri figli possono rivolgersi ad un centro di consulenza genetica, dove nel corso di un colloquio potranno essere informati in modo preciso sulle possibilità di dare alla luce figli malati o portatori, dopo aver eventualmente eseguito gli esami ritenuti opportuni.

I sintomi dell'emofilia

Tutte le persone subiscono danni minimi nel corso della loro vita quotidiana e nella maggior parte dei casi l’organismo è in grado di ripararli da solo. Anche negli emofilici, nella maggior parte dei casi, piccole ferite o graffi non creano problemi.

Ma le piccole lesioni delle pareti vasali a livello di articolazioni (emartri) e muscoli (ematomi) possono continuare a sanguinare, provocando emorragie. Queste emorragie vengono talvolta definite “spontanee” in quanto è impossibile risalire alla causa che ha provocato il sanguinamento.

I neonati raramente presentano problemi sino a che non iniziano a stare seduti o a camminare, di solito attorno all’età di sei/nove mesi. I bambini con emofilia grave possono sviluppare ecchimosi (piccole emorragie sottocutanee) nelle parti del corpo in cui vengono sollevati o sorretti dai genitori.

Una tumefazione dolorosa o la riluttanza a muovere un braccio o una gamba sono il primo segno che ha avuto luogo un’emorragia. Man mano che il bambino cresce impara a riconoscere un’emorragia. Tuttavia, anche se la riconosce può non dire nulla ai suoi genitori per paura di un’iniezione, di non poter andare a scuola o a giocare, di essere ricoverato in ospedale.

Inizialmente a livello dell’articolazione colpita dall’emorragia si avrà dolore e irritazione. Senza trattamento, insorge dolore e rigidità, limitazione funzionale, rossore e tumefazione dell’articolazione.

Le articolazioni più comunemente colpite sono il ginocchio e la caviglia, in particolare nei bambini. È importante somministrare il fattore della coagulazione mancante e tenere a riposo l’articolazione. Oltre che il ginocchio e la caviglia possono essere interessate le articolazioni di gomito, spalla e anca.

Il numero di emorragie è imprevedibile: un emofilico può andare incontro ad un’emorragia tre o più volte alla settimana, o poche volte l’anno. I bambini sono più soggetti degli adulti agli episodi emorragici. In assenza di un adeguato trattamento, emartri ripetuti a livello di una stessa articolazione provocano deformità e impotenza funzionale. Sono frequenti anche gli ematomi che, se non adeguatamente trattati, provocano danno muscolare.

La diagnosi dell'emofilia

Per la diagnosi di emofilia, in primo luogo si effettua l’analisi del sangue per misurare un parametro, il tempo di tromboplastina parziale (PTT) che risulta più lungo del normale. La conferma e la tipizzazione dell’emofilia (se di tipo A o B, se grave, moderata o lieve) viene poi avvalorata dal dosaggio delle proteine plasmatiche carenti (il fattore VIII o il fattore IX), metodica ora abbastanza diffusa nei laboratori analisi di molti ospedali del territorio nazionale.

La terapia dell'emofilia

Il trattamento per l’emofilia consiste nella terapia sostitutiva, cioè nella somministrazione del fattore mancante (fattore VIII nell’emofilia A, fattore IX nella B). Questi farmaci sono costituiti da molecole di grandi dimensioni che non possono essere assunte per via orale o con iniezioni sottocute, ma devono essere somministrate per iniezione endovenosa. Il concentrato di fattore della coagulazione può essere di derivazione plasmatica, cioè ottenuto dal sangue delle donazioni volontarie oppure di derivazione sintetica, con tecniche di ingegneria genetica: il cosiddetto “fattore ricombinante”. La complicazione principale della terapia sostitutiva è la comparsa, nel sangue dei riceventi, di anticorpi diretti contro il fattore VIII o IX detti “inibitori”, che ne neutralizzano l’effetto, e che possono rendere difficile la terapia. Tutti i farmaci, come l’aspirina, che hanno un effetto negativo sulla coagulazione, devono essere sempre evitati.

I due principali regimi terapeutici sono la terapia ‘on demand’ (a domanda) e la profilassi. Il trattamento profilattico consiste in iniezioni di concentrato del fattore mancante. In genere, le persone affette da forma grave necessitano di una terapia continua, mentre nelle forme lievi la terapia sostitutiva si effettua generalmente solo in seguito a traumi, o in previsione di eventi come operazioni chirurgiche, estrazioni dentarie etc…

Nell’emofilia A viene somministrato tre volte alla settimana. Nell’emofilia B viene somministrato due volte alla settimana (o più frequentemente, se necessario) per mantenere i fattori della coagulazione ad un valore sufficiente a prevenire le emorragie spontane. E’ la terapia utilizzata per trattare i bambini affetti da emofilia grave. Grazie alla profilassi i bambini e le loro famiglie sono in grado di condurre una vita normale.

Alcuni pazienti con emofilia A di tipo lieve vengono trattati con un farmaco chiamato desmopressina: si tratta di un ormone sintetico, non di un prodotto del sangue. La desmopressina stimola l’organismo a produrre fattore VIII, in presenza però di una certa quantità residua di questo fattore.

Per questo i pazienti con emofilia di grado lieve, di solito, vengono trattati con concentrato del fattore mancante solo in caso di interventi chirurgici o dopo un incidente o un trauma importante. Le piccole ferite o i graffi di solito non rappresentano un problema: per fermare l’emorragia è sufficiente esercitare una leggera pressione ed apporre un bendaggio.

Tuttavia i pazienti con emofilia lieve possono andare incontro a problemi seri soprattutto perché non riescono a riconoscere subito i segni ed i sintomi di un’emorragia, data la rarità di quest’evenienza. Se un episodio emorragico non viene riconosciuto, quindi non trattato entro breve tempo, si possono avere conseguenze inabilitanti.

Le complicanze

Dolore

Un’emorragia non trattata comporta un dolore aggravante, per lo stato di distensione cui vengono sottoposti i tessuti circostanti. Nel lungo periodo, un’articolazione colpita da un’emorragia può divenire artritica, con conseguenti dolore ed inabilità cronici.

Ogni singola persona ha una soglia del dolore differente. Ciò che sembra “tremendamente doloroso” per una persona può essere “appena dolente” per un’altra. Ciò dipende da come il nostro organismo “legge” il dolore, dalla nostra risposta emotiva al dolore (e dalla risposta di coloro che ci circondano) e da come impariamo a gestirlo. La maggior parte delle persone trova giovamento dall’assunzione di farmaci antidolorifici. Tuttavia i pazienti con dolore cronico sono restii ad assumere farmaci ogni giorno. Alcuni pazienti emofilici che hanno assunto antidolorifici per prolungati periodi sono diventati fisicamente ed emotivamente dipendenti da questi farmaci.

Alcune delle strategie per alleviare il dolore possono risultare utili.

  • Riposo: è importante tenere l’articolazione a riposo sino a che l’emorragia si è arrestata ed il dolore alleviato.

  • Fisioterapia: il riabilitatore può suggerire alcune posizioni antalgiche ed esercizi particolari che aiutano l’articolazione ed i muscoli a ritornare nelle condizioni pre-emorragia.

  • Movimento: camminare o nuotare possono alleviare la rigidità a livello articolare. Una regolare attività fisica è inoltre importante per combattere lo stress.

  • Sonno: il sonno è un grande “guaritore” sia fisico che psichico.

  • Massaggio: i massaggi possono alleviare il dolore a livello articolare.

  • Caldo e freddo: l’applicazione di impacchi caldi o freddi può ridurre il dolore e la rigidità articolari.

Sviluppo inibitori

Il nostro sistema immunitario ci protegge da “invasori” estranei quali i virus ed i batteri, riconoscendoli come estranei ed eliminandoli. Tuttavia il sistema immunitario non può conoscere la differenza tra proteine estranee utili (come i fattori della coagulazione) e quelle dannose (i batteri, i virus).

Nel 15-25% circa degli emofilici l’organismo riconosce il fattore della coagulazione, somministrato a scopo terapeutico, come estraneo e sviluppa anticorpi contro il fattore stesso. Questi anticorpi vengono definiti “inibitori” in quanto si combinano con il fattore della coagulazione e ne inibiscono l’azione, annullandola. In alcuni casi questi inibitori possono essere temporanei.

Nella maggior parte dei casi gli inibitori si sviluppano in bambini affetti da emofilia A di tipo grave. Gli inibitori di solito compaiono dopo i primi 10-20 trattamenti.

Negli ultimi anni sono stati compiuti molti progressi nel trattamento dei pazienti con inibitori. Il trattamento per l’evento emorragico è tuttora un problema, anche se nella maggior parte dei casi un’emorragia può essere trattata efficacemente nonostante la presenza di inibitori.


Gli altri disordini della coagulazione

Emofilia acquisita. Si tratta di un disordine molto raro, circa due nuovi casi ogni milione di persone all’anno. In questi casi il sistema immunitario dell’organismo sviluppa anticorpi contro il fattore VIII in una persona che non ha storia familiare di disordini emorragici. Di solito è la conseguenza di alcune malattie (ad esempio alcuni tipi di cancro) e talvolta può essere secondaria ad una gravidanza.

Carenza di fattore I. Di solito definita carenza di fibrinogeno, è un raro disordine emorragico ereditario, provocato da un basso livello di fibrinogeno nel sangue o dal fatto che il fibrinogeno non agisce adeguatamente. Il fibrinogeno è una proteina del sangue che aiuta le piastrine nella coagulazione del sangue.

Carenza di fattore II. Definita anche come carenza di protrombina, è provocata da una quantità inferiore al normale di protrombina nel sangue o da un’alterazione strutturale della protrombina che ne compromette la funzionalità. La protrombina è una proteina del processo della coagulazione. Il fattore X attivato trasforma la protrombina in trombina che a sua volta permette la prosecuzione del processo della coagulazione. In assenza di trombina il processo si interrompe.

Carenza di fattore V. È un raro disordine emorragico ereditario, noto anche come malattia di Owren o paraemofilia. Il fattore V accelera la formazione di protrombina. Nel mondo sono stati descritti solo 150 casi di questa malattia.

Carenza di fattore VII. È un disordine emorragico raro noto anche come malattia di Alexander. Il fattore VII viene attivato dalla tromboplastina tessutale e si trasforma in fattore VII attivato che a sua volta attiva il fattore X ed il fattore IX, permettendo al processo della coagulazione di continuare.

Carenza di fattore X. Noto anche come malattia di Stuart-Prower è un disordine emorragico ereditario dovuto ad una carenza di fattore X o ad una sua alterazione funzionale.

Carenza di fattore XI. Nota anche come emofilia C. Il fattore XI facilita l’attivazione del fattore IX. Colpisce una persona ogni 100.000.

Carenza di fattore XII. È una malattia ereditaria nota anche come fattore d Hageman. Solo molto raramente provoca emorragia.

Carenza di fattore XIII. Perché la malattia venga trasmessa entrambi i genitori devono essere portatori del gene deficitario. Colpisce una persona ogni 3 milioni, maschi e femmine in eguale proporzione.

Tromboastenia di Glanzmann. È una condizione ereditaria che colpisce sia i maschi che le femmine. Può essere in forma lieve o in forma grave. Le caratteristiche diagnostiche di questa malattia sono un normale numero di piastrine con un prolungato tempo di emorragia. Possono aversi ecchimosi, epistassi e gengivorragie, che possono essere gravi. Nelle donne si osservano mestruazioni abbondanti.

Sindrome di Bernard-Soulier. È un disordine emorragico ereditario che colpisce sia gli uomini che le donne. In questa malattia le piastrine perdono la loro capacità di aderire alla parete di un vaso leso. Ciò significa che non può formarsi un coagulo adeguato. I sintomi di questo disordine sono epistassi e gengivorragie, ecchimosi ed emorragie dopo traumi. Malattia di Won Willebrand. È un disordine della coagulazione, di solito ereditario. Prende in nome da Erik von Willebrand, che lo descrisse per primo. Il fattore di von Willebrand è una delle proteine del sangue che partecipano al processo della coagulazione. Nella malattia di von Willebrand si ha o una carenza del fattore o una sua inadeguatezza funzionale. A causa di ciò il coagulo impiega più tempo del normale a formarsi e quindi un episodio emorragico impiega più tempo ad arrestarsi. Il fattore di von Willebrand agisce anche come “portatore” del fattore VIII; pertanto alcuni pazienti con bassi livelli di fattore di von Willebrand possono avere anche bassi livelli di fattore VIII. La malattia di von Willebrand è la malattia emorragica più comune, colpisce circa l’1% della popolazione (1 ogni 800-1.000 nati). Il gene difettoso, a differenza del gene dell’emofilia non è situato sui cromosomi sessuali ma su uno degli altri cromosomi, pertanto la malattia colpisce in eguale misura gli uomini e le donne. I sintomi che si osservano nella malattia di von Willebrand sono meno gravi dei sintomi dell’emofilia classica. I pazienti affetti da questa condizione vanno facilmente incontro ad ecchimosi anche dopo traumi di lieve entità. Per ridurre l’emorragia da un taglio superficiale può essere necessario applicare una certa pressione. In alcuni casi si possono avere epistassi (sangue dal naso), che possono anche essere intense e prolungate. Nelle donne, le mestruazioni di solito sono molto abbondanti. Una malattia di von Willebrand grave è molto rara, ed in questo caso i sintomi sono paragonabili a quelli dell’emofilia classica, anche se le emorragie a livello articolare sono piuttosto rare.

Vivere con l'emofilia

Oggi, l’emofilia viene trattata in modo da permettere ai pazienti una vita normale. Gli attuali trattamenti non solo salvano la vita dei pazienti ma ne migliorano enormemente la qualità riducendo al minimo il dolore, l’immobilità e limitando i problemi a scuola, nel lavoro e nella vita sociale di ogni giorno.

La scuola. Ancora oggi però è fondamentale per i ragazzi e per i genitori affrontare alcune criticità lungo il percorso di crescita. L’accettazione della malattia, la gestione del quotidiano, le difficoltà nel percorso scolastico e nei rapporti interpersonali all’interno del contesto sociale sono alcune delle principali problematiche. In particolare nella fase adolescenziale, quando nella vita del ragazzo emofilico si aggiungono alle difficoltà tipiche dell’età quelle specifiche della malattia.

Il lavoro. Non esiste alcun motivo per nascondere sul posto di lavoro il fatto di essere emofilico. Anzi! Il fatto che i colleghi lo sappiano può essere d’aiuto in caso di necessità.

In viaggio. Se si intraprende un viaggio, è opportuno informarsi sui centri emofilia esistenti nei luoghi nei quali ci si intende recare, per lavoro o per svago.

Lo sport. Una certa attività fisica è salutare sia per il corpo che per la mente. Camminare, nuotare, correre, possono aiutare ad irrobustire la muscolatura e a stabilizzare le articolazioni. Tranne alcuni sport (quali il rugby, il pugilato, lo judo ed il karate, non consigliabili per l’alto rischio di lesioni che possono provocare emorragie interne), è possibile praticare qualsiasi sport.

Lo Stress. Un metodo per mantenere uno stile di vita sano e ridurre lo stress, è quello di imparare quanto più possibile sul proprio disordine emorragico e capire che impatto può avere sulla propria vita: conoscere i propri limiti permette di evitare rischi inutili.

Curiosità

Nell’800 l’emofilia colpì molti membri delle famiglie reali di Inghilterra, Spagna, Germania e Russia. Tutti i soggetti colpiti erano discendenti diretti della regina Vittoria, la prima portatrice nota di emofilia nella sua famiglia. Forse il più famoso tra i discendenti di Vittoria colpiti dall’emofilia è il figlio dello Zar Nicola II, il piccolo zarevic Alexei, assassinato poi con la sua famiglia durante la rivoluzione bolscevica del 1917.

Le Associazione Emofilici dell'Emilia-Romagna fanno parte della federazione nazionale delle associazioni emofilici: FedEmo

La fonte delle informazioni è www.fedemo.it